La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 838/15, ha stabilito che la trascrizione, seppur minima, del contenuto di un atto investigativo, integra il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale ex art. 684 c.p.
La questione, traendo origine dalla domanda di risarcimento danni azionata a causa del contenuto ritenuto diffamatorio di tre articoli apparsi sul quotidiano “Il Corriere della Sera” nei giorni 23 e 26 febbraio e 2 marzo 2005, involge il contemperamento degli interessi contrapposti dell’amministrazione della giustizia e dei soggetti a vario titolo coinvolti, da una parte, ed il diritto di manifestazione del pensiero e di cronaca, dall’altra.
Nello specifico, a seguito della conclusioni delle indagini poste in essere nei confronti di un noto esponente politico, trapelavano alcuni atti che dimostravano il coinvolgimento nel fatto di reato di un ulteriore individuo, un dirigente d’azienda.
I giornalisti, nel pubblicare la notizia, trascrivevano dei passaggi del materiale ottenuto, riguardanti, segnatamente, un interrogatorio contenuto nel fascicolo del PM e alcune consulenze tecniche, riproducendo, seppur solo parzialmente, gli atti di indagine.
Il ricorrente citava in giudizio civile sia l’editore che i giornalisti e poneva, a fondamento della domanda, violazione degli artt. 595 c.p. (diffamazione), 684 c.p. (pubblicazione arbitraria di atti) e 15 del D.lgs. 196/2003 (violazione della riservatezza).
La domanda veniva rigettata con sentenza di primo grado, la quale veniva confermata in appello, per insussistenza dei reati invocati: in particolare, per ciò che concerne l’ipotesi di pubblicazione arbitraria di atti di indagine, si è ritenuto che, essendo minima e contenuta la trascrizione degli atti in parola, non era ravvisabile la violazione del divieto di pubblicazione di atti e immagini.
Disattendendo la statuizione dei Giudici del merito, la Suprema Corte, prendendo le mosse dalla rigorosa interpretazione letterale dell’art. 114 c.p.p. (divieto di pubblicazione di atti e di immagini) accoglieva parzialmente il ricorso, proprio su quest’ultimo aspetto: veniva rilevato, difatti, che i giornalisti avevano riprodotto – e non riassunto – il contenuto di alcuni atti di indagine, integrando, pertanto, una pubblicazione arbitraria rilevante ex art. 684 c.p.
La sentenza appellata veniva quindi annullata, con rinvio alla Corte d’Appello per un nuovo esame nel merito, dichiarando, per il resto, infondati, i restanti motivi.