Nel ripercorrere la vicenda che coinvolge un caporedattore, imputato di molestie per aver rivolto ad una giornalista apprezzamenti a sfondo sessuale, sia sul luogo di lavoro, sia nella sua pagina personale di Facebook, la Suprema Corte, contribuisce, in primis, a chiarire il significato della locuzione di “luogo aperto al pubblico”, individuando l’elemento caratterizzante nelle condizioni e nei limiti d’accesso posti dal titolare dello ius excludendi.
Nel proseguo della disamina in parola, tuttavia, l’analisi si estende in maniera significativa.
Nella seconda parte della Sentenza, infatti, viene considerata la possibilità di ricomprendere nell’alveo del reato di molestie telefoniche la condotta di trasmissione di ripetuti messaggi volgari e a sfondo sessuale, posta in essere dall’imputato, tramite il social network, alla persona offesa.
Il punto di approdo è estremamente innovativo: per la Suprema Corte, è possibile definire un social network o community come Facebook, quale “luogo aperto al pubblico”, in quanto innegabilmente equiparabile ad una sorta di “piazza immateriale” liberamente accessibile da un numero indeterminato di persone, con caratteristiche tali da rendere possibile il suo inserimento all’interno della nozione di luogo richiesta dall’art. 660 c.p.
In conclusione, a prescindere dal caso concreto sottoposto ad esame, ritenuto non accertato, la Cassazione esprime chiaramente l’innovativa posizione, per la quale, nel caso in cui si rechi molestia ad altri utenti della community mediante messaggi visibili sulla pagina pubblica, si agisce in un “luogo aperto al pubblico”, correndo il rischio in tal modo di incorrere nella commissione del reato in parola.