La Suprema Corte, con la sentenza n. 24431/15 ha stabilito che scrivere sulla bacheca Facebook di un utente un post offensivo integra il reato di diffamazione aggravata previsto dall’art. 595, co. 3 c.p., come se l’offesa venisse integrata a mezzo stampa.
La questione trae origine dalla pronuncia del Giudice di Pace di Roma, chiamato a giudicare la fattispecie diffamatoria di pubblicazione di un commento offensivo sulla bacheca Facebook della persona offesa, attraverso cui dichiarava la propria incompetenza per materia sul reato di cui all’art. 595, co. 3 c.p., ritenendo essere stata integrata la fattispecie aggravata in parola.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, diversamente, non ha ritenuto essere stata integrata nella fattispecie de qua l’aggravante contemplata dal terzo comma della norma citata, poiché la pubblicazione di un post, per quanto offensivo, sulla bacheca Facebook di un utente non implica sic et simpliciter pubblicazione o diffusione del relativo contenuto, essendo tale diffusione possibile solo se non attivati nella pagina destinataria del post i meccanismi di protezione della privacy all’uopo previsti.
Pertanto, il Tribunale contestava la propria competenza e rimetteva gli atti alla Corte di Cassazione per la risoluzione del contrasto.
La Suprema Corte, dopo aver ritenuto sussistente il contrasto tra i due giudici ordinari, statuiva la competenza a conoscere il fatto dedotto in giudizio dal Tribunale di Roma in composizione monocratica.
A tale conclusione giungeva attraverso il richiamo preliminare a proprie precedenti pronunce che convalidavano la possibilità che i reati di ingiuria e diffamazione possano essere commessi attraverso il mezzo internet (Cass. Pen. Sent. n. 4741/2000; Cass. Pen. Sent. n. 44126/2011) e che tali ipotesi integrano l’aggravante contemplata dall’art. 595, co. 3 c.p.
Difatti, per quanto le ipotesi richiamate siano tra loro diverse, le stesse presentano un fondamentale elemento in comune: “(…) l’idoneità e la capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa.”
E’ stato ritenuto quindi che la diffusione di un messaggio attraverso il social network presenta le predette caratteristiche. La motivazione si fonda sia sulla potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia sulla natura interpersonale dell’utilizzo di Facebook, che integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le loro rispettive esperienze di vita.
In conclusione, si può affermare che la pubblicazione di un post offensivo sulla bacheca di un utente di Facebook, per la idoneità del mezzo utilizzato a raggiungere un cospicuo numero di numero, possa integrare il reato di diffamazione aggravata ex art. 595, co. 3, c.p.