Corte di Cassazione - Sez. III Civile - Sentenza del 9 dicembre 2015 - 21 aprile 2016 n. 8035

Corte di Cassazione - Sez. III Civile - Sentenza del 9 dicembre 2015 - 21 aprile 2016 n. 8035

Articolo pubblicato il: 31 Maggio 2024 ore 12:59

LA SENTENZA

Corte di Cassazione - Sez. III Civile - Sentenza del 9 dicembre 2015 - 21 aprile 2016 n. 8035 Presidente Vivaldi - Relatore Scarano - Pm - conforme - Fuzio 

Sanità e bioetica - Medici - Responsabilità medica - Presupposti - Obbligo di informativa - Contenuto. 

Sentenza del: 21 Aprile 2016

IL NOSTRO COMMENTO

            La sentenza in esame affronta, tra l’altro, il tema del consenso informato e degli obblighi informativi in capo al medico.

            Il consenso informato, garanzia della libertà dell’individuo di perseguire al meglio i propri interessi consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico (compresa la facoltà di rifiutare o interrompere la terapia), deve essere fornito espressamente dal paziente a seguito delle adeguate informazioni.

            Di conseguenza, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente, il medico ha l’onere di dimostrare di aver adempiuto all’obbligazione di fornire un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze.

            Nel caso di specie, la Suprema Corte ha voluto precisare gli ulteriori obblighi di diligenza e di perizia che gravano sul medico e, a fortiori, sullo specialista, rispetto all’acquisizione del consenso informato.

            Il medico, infatti, oltre a dover impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria, deve verificare l’organizzazione dei mezzi idonei al raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, mediante l’adozione di tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative che incidono sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento. L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ai sensi dell’art. 1176 c.c. impone, inoltre, secondo la Suprema Corte, all’esercente la professione sanitaria di “salvaguardare, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, l’utilità altrui, sicché laddove ciò non sia possibile deve informarne il paziente, financo consigliandogli, se manca l’urgenza di intervenire, il ricovero in altra idonea struttura”.

Avv. Francesca Mannai

Studio Legale Farris & Aresti