Con la Sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, affronta il tema della ammissibilità dei controlli difensivi occulti, posti in essere dal datore di lavoro e diretti all’accertamento di comportamenti illeciti del dipendente.
Il caso trae origine dal licenziamento per giusta causa di un lavoratore, al quale venivano contestati i tre diversi addebiti di interruzione dell’attività lavorativa per 15 minuti per eseguire una telefonata, per aver custodito nel proprio armadietto un Ipad acceso e collegato nella rete elettrica e per essersi intrattenuto a conversare in diverse occasioni, tramite il suo cellulare, su Facebook, quest’ultimo fatto accertato tramite la creazione, da parte del responsabile del personale, di un falso profilo di una donna sul social network con seguente “richiesta di amicizia” al lavoratore.
Inizialmente, il Tribunale accoglieva il ricorso ex art. 18 L. n. 300/1970 proposto dal dipendente e giudicava illegittimo il licenziamento, poiché non proporzionato e, di conseguenza, dichiarava risolto il rapporto condannando la società datrice di lavoro al risarcimento del danno, corrispondente a 22 mensilità.
Successivamente, la sentenza veniva riformata in appello poiché, non solo sono stati ritenuti provati e ritualmente accertati i fatti contestati, ma veniva inoltre valutata positivamente la proporzione tra la sanzione espulsiva e gli addebiti contestati.
Infine, il ricorso del dipendente veniva rigettato dalla Cassazione che, oltre ad aver ritenuto fondato il giudizio di proporzionalità condotto dal Giudice di merito tra la gravità dei fatti addebitati al lavoratore e la sanzione inflitta, ha dichiarato la tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi occulti, purché diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto conforme al disposto contenuto negli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, i primi due posti a tutela della dignità e libertà del lavoratore mediante la delimitazione della sfera di intervento delle persone preposte al datore di lavoro a difesa dei suoi interessi con specifiche attribuzioni nell’ambito dell’azienda e l’art. 4 volto a stabilire il divieto di utilizzazione di strumenti di controllo a distanza, salvo che non sussista il previo accordo con le RSA o previo provvedimento dell’ispettorato del lavoro.
Per ciò che concerne i primi due articoli citati, la Suprema Corte ha rilevato che non è escluso dall’applicazione degli stessi il potere dell’imprenditore di controllare – anche per mezzo di personale esterno – l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi l’accertamento di eventuali mancanze in corso o già commesse da parte dei dipendenti. Sull’art. 4 citato, inoltre, si è ritenuto che la fattispecie si ponesse al di fuori del suo campo di applicazione poiché il datore aveva posto un’attività di controllo che non aveva ad oggetto l’attività lavorativa ed il suo esatto adempimento, bensì l’eventuale integrazione o perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente.
Tuttavia, ed in conclusione, seppur vero che la sentenza in oggetto legittima l’utilizzazione, sussistendone i presupposti citati, dei controlli difensivi occulti, gli stessi devono essere funzionali ad un accertamento non eccessivamente invasivo e rispettoso delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, in contemperamento, in ogni caso, con i principi generali di buona fede e correttezza contrattuale.